martedì 30 marzo 2010

il lupo perde il pelo. io no.


Sono vittima di uno strano stordimento. Lo stordimento del dolore acuto, quello che consuma tutte le energie e che rende incapaci di provare qualsivoglia altro sentimento. Lo avevo già provato in passato e, avendolo superato, pensavo che in futuro sarei stata in grado di gestirlo, di contestualizzarlo e metabolizzarlo più velocemente. Pensavo e speravo, ma, come si dice? Il lupo perde il pelo ma non vizio e io, sinceramente, non perdo nemmeno il pelo.
Sono vittima di uno strano stordimento e oggi più che mai. Mi trascino inutilmente nei minuti di una domenica che non vuole finire. La tv è accesa e vomita parole inutili. Il pc perpetua l’illusione dell’amicizia attraverso una lunghissima lista di contatti online è offline, che tutto sono, tranne che contatti. Sono solo tanti e a tratti riempiono le pagine del web di dediche, canzoni e commenti.
Ma è il pieno che si fa formalmente vuoto mentre io sento la mancanza delle sue braccia e, persa tra di loro, della sua presenza. Lo stordimento non mi permette di arrivare al suo sorriso e al suo sguardo. Lo stordimento confonde i ricordi belli con quelli brutti e mi lascia sul divano, con i muscoli intorpiditi e la testa assorta nello smaltimento del vuoto.
È uno strano stordimento e quando mi sarò svegliata, spero che sia stata l’ultima volta.

Amore a lunga conservazione


La maggior parte delle persone che conosco crede in qualcosa: Dio, la rivoluzione, la forza della musica, la bellezza dell’arte. Io non credo in niente e ho perso anche l’occasione di affidarmi al bambinello portafortuna di Praga che ho comprato e regalato alla mia amica Mari. Il mio niente è fatto di piccole cose che, a tratti, mi danno soddisfazione. Un po’ di sole a riscaldare la pianura padana, la seconda L che trova divertenti le mie lezioni, portare casa mia alla temperatura di 12 gradi. Piccole cose. Piccolissime. Ma significative.
Fino a qualche anno fa mi piaceva dispensare consigli. Mi faceva sentire più grande, più dentro alle cose. E avevo opinioni su tutto. E soluzioni logiche, pronte, infallibili.
Si dice che crescendo si migliora. Si dice, oppure scambio per regola il vago ricordo di qualcuno che me lo ripeteva quando il futuro non era ancora presente.
E io in qualche cosa sono migliorata. Conto fino a 10 prima di sparare a zero sulle cose e le persone, preferisco una cena tranquilla e due chiacchiere alle notti goliardiche e inutilmente alcoliche e mi concentro di più sui rapporti, quei pochi rapporti veri che mi sono rimasti. So anche chiedere aiuto, perché finalmente riesco ad ammettere di averne bisogno. Un bisogno spasmodico di sincerità, di amicizia, di verità. O, forse, solo di umana comprensione. Quella che Nino cercava nei miei occhi, che io ho provato a dargli, ma che ho irrimediabilmente confuso con l’amore, facendo un gran casino, come al mio solito.
Adesso Nino non c’è e non c’è niente al mondo che mi manchi più della sua risata scanzonata ed irriverente. Oggi saprei dargli quello che cercava e saprei dirgli che lo capisco, senza giudicare. Ho imparato a mie spese che chiudere la porta non significa necessariamente rifiutarmi. Ho capito con dolore che l’amore è qualcosa che non si può pretendere e che se non arriva, la colpa è nostra solo fino ad un certo punto. Ma non glielo posso più dire. Quello schiaffone che ancora brucia mi ha tolto la voce e la parola, è diventato parte di me e della mia quotidianità. Mi ha cambiato la vita e mi ha reso meno presuntuosa e meno intransigente.
La maggior parte delle persone che conosco crede in qualcosa. Qualcosa di grande ed irraggiungibile. Così si ha tutta la vita per cercare di ottenerlo e la vecchiaia per rimuginare sul risultato. Magari dovrei farlo anche io. Come quando frequentavo il box 2 in attesa della lotta di classe e riuscivo a riempire i giorni e la bocca di speranza e buoni propositi. Oppure potrei semplicemente concedermi una seconda possibilità, per togliermi quel peso, per annientare quel dolore ossessivo e martellante che da sei anni comprime le mie emozioni.