venerdì 26 febbraio 2010

terrone in trasferta


Mi chiedo cosa voglio fare da grande. E mi rispondo che grande lo sono già. Allora chiedo agli altri di chiedermelo, magari sotto pressione mi viene qualche idea gloriosa. Ma gli altri non hanno tempo di fare domande. A Milano si corre e ci si ferma solo per una lampada o un paio di ore di shopping.
Eppure avevo dei sogni. Me lo ricordo. E migliaia di aspettative. Ed energie, per illudermi di potercela fare.
Milano. L’avevo immaginata diversa. Fredda, calcolatrice, grigia, fumosa, certo, ma diversa. Quando si cresce in un paesino piccolo piccolo come il mio, ci si convince che ciò che è grande, è bello per forza. O, quanto meno, è pieno di cose. Milano è grande ed è piena di cose, ma non è bella, né per forza, né con impegno. Milano è una grande bolla di vetro con la neve e le luci alle finestre. È una fortezza di paure, dove ognuno aspira a rifugiarsi nel suo metro quadrato con la chiusura ermetica. A Milano non ci si incontra. Se si ha voglia di compagnia, ci si iscrive a facebook e si passa il tempo ad accettare inviti di ogni tipo per iscriversi a gruppi di pensatori su qualcosa, qualunque cosa sia. Oppure ci si raggruppa per categorie, ex di questo e quello o nuovi appartenenti a quello o quell’altro. Tutto via internet, ovviamente, al di là delle finestre, oltre i vetri. Milano è la più grande illusione dello stivale e chi viene dal sud, come me, deve accontentarsi di guardare quelle luci dal vicolo pieno di neve e diffidenza. Chi viene dal sud come me è un terrone in trasferta. E lo è per tutta la durata della sua permanenza padana.
Vivo a Milano da più di tre anni. Lavoro precariamente qui, quest’anno da settembre a giugno. L’anno prossimo, Gelmini o non Gelmini, chissà.
Cosa voglio fare da grande? Non lo so. Ma più passa il tempo e più mi convinco che voglio tornare dalla trasferta. E festeggiare con gli amici di sempre la mia sconfitta.

Nessun commento:

Posta un commento